Vacanze…che noia la noia dei figli
Le scuole chiudono, molti amichetti sono già fuori città e giocoforza i nostri figli dicono di annoiarsi. Mamma cosa faccio, adesso? Mi sto annoiando… Sono queste le classiche frasi che ci sentiamo ripetere e delle quali non dobbiamo avere paura. Noi genitori a fronte di queste parole dei nostri figli ci sentiamo spiazzati, a corto di idee come se fosse nostro dovere fornire costantemente ai nostri figli elementi di stimolo dimenticandoci che gli spazi di “vuoto” o di noia forniscono anche spazi di pensiero che normalmente, a causa dell’eccesso di stimoli cui i nostri figli sono sottoposti, i bambini non riescono ad apprendere e a vivere. Purtroppo l’idea fuorviante tipica delle società “utilitaristiche” esige che si debba costantemente essere attivi perche è solo l’azione produttiva che licita i comportamenti dimenticando che i processi di rielaborazione degli apprendimenti (di qualsiasi tipo essi siano) necessitano di uno spazio di vuoto che consenta la sedimentazione e la rielaborazione.
Nella mia esperienza educativa in carcere, a fronte dei programmi educativi proposti ai detenuti (adulti e minori) ciò che, per voce degli stessi detenuti, ha sortito i maggiori risultati rispetto alla consapevolezza delle loro azioni è stato il “tempo vuoto” al quale le persone sono state costrette nel corso dell’esecuzione della pena.
Tutti, indistintamente, hanno riferito esperienze di vita nelle quali non c’è stato dato loro il tempo per pensare e ciò, come ha più volte sottolineato il filosofo Galimberti, impedisce l’educabilità dei processi di autocontrollo e autodisciplina oltre alla costruzione delle concatenazioni neurologiche che consentono poi l’attivazione delle inteconnessioni tra le aree tripartite del nostro cervello.
Mi domando quindi se non siano gli adulti ad aver paura dei periodi di vuoto, degli spazi incontrollati e non regolamentati da un’attività.
Tutti noi adulti che abbiamo superato gli anta ricordiamo le assolate giornate estive in cui non avevamo niente da fare…personalmente le ricordo con piacere come un momento per immaginare, sognare, inventare, scappare. Come uno spazio in cui gli adulti non potevano entrare, spazi che mi consentivano di immaginare e di costruire l’idea di vita che mi avrebbe accompagnato negli anni successivi della vita adulta.
Ritengo che a fronte di segnali di noia dei nostri figli sia inutile (e personalmente ritengo anche deleterio) subissarli di nuove proposte: meglio insegnar loro a giocare con la testa, a fantasticare, sognare a occhi aperti, a progettare, insomma, a riflettere e ad attingere nuovi stimoli dal proprio mondo interiore. Senza rispettare accelerate tabelle di marcia dove si accavallano sport, lingue, studio di strumenti musicali. Dove gli adulti pretendono di indicare tempi, modi e contenuti limitando sempre di più la loro possibilità di sperimentare e di costruire propri spazi di autonomia e coscienza di se’ cioè di raggiungere gli obiettivi educativi imprescindibili ai quali sono chiamati “universalmente” gli esseri umani nella loro identità da adulti.
Un’idea per aprire il suo “spazio professionale”
E’ molto importante che il ragazzo sulla base delle sue attitudini fin da piccolo sviluppi una visione del futuro: proviamo a chiedergli come immagina la sua vita mentre esercita la professione che fantastica: architetto, impiegato, estetista, equilibrista, astronauta, re…
Chiediamo ai nostri figli quali sono i sogni che hanno nel cassetto evitando di riportare le fantasie ai dati di realtà proprie del mondo adulto.
Come aveva capito bene Steve Job e gran parte dei “geni” che hanno contribuito al cambiamento del nostro mondo ( e come cominciano anche ad indicare le nuove scoperte di fisica quantistica) sono i sogni che costruiscono la nostra realtà.
Proviamo a sognare con nostro figlio, raccontiamogli i nostri sogni di bambini. Spiegamogli quali di questi sogni abbiamo realizzato e quali stiamo ancora realizzando ora magari in forma un po’ diversa da come avevamo immaginato.
Domandiamogli che sensazioni prova? Quali gioie o paure avverte? E ancora quali sogni e progetti ha in quei momenti? Ama la professione di ballerina o calciatore? Proviamo a proporgli di creare nella casa l’angolo del suo lavoro così come lui lo immagina o lasciamolo libero di fantasticare sulle ipotesi più inverosimili.
Spieghiamo che la vita è gioco, divertimento e sforzo. Che lo sforzo non è un aspetto negativo del vivere ma il modo per attuare i nostri sogni attraverso il processo di superamento; che il rischio attiva la fantasia creativa nella capacità di soluzione del problema; che ci aiuta ad essere più flessibili nell’adattarci al nostro mondo, che nella nostra vita non è tutto previsto, prevedibile, determinabile, o peggio, dovuto solo per il fatto che l’abbiamo pensato. Che solo così si educa la resilienza, strumento fondamentale per affrontare la vita.
Che la vita è sforzo di costruzione e che la “sconfitta” serve per modificare il nostro comportamento, per poter attuare nuovi schemi comportamentali più adeguati e che ci consentono di perseguire più convenientemente i nostri obiettivi.
La nostra vita da adulti è anche spostamento: spostamento del limite, spostamento degli obiettivi da raggiungere, spostamento di pensiero, convinzioni.
Spostarsi da un luogo a un altro non implica necessariamente un movimento nello spazio fisico: viaggio significa incontrare persone, gesti, abitudini, storie, cibi, dialoghi ma anche invenzione, paradosso, sogno alimentato attraverso storie e letture che consentono di elaborare esperienze vissute, possibili o impossibili, paure, gioie attraverso i processi di narrazione che utilizzano le parole e le immagini.
Questo obiettivo si può raggiungere incoraggiando i figli a leggere e/o a guardare film che diventano lo stimolo alla riflessione su di se. Parlare dei personaggi preferiti, di come reagiscono, di cosa abbiamo in comune con loro oppure cosa abbiamo di diverso significa valutare, esaminare, proporre o introiettare modelli sociali che costituiscono il fondamento del nostro vivere sociale, di apprendere la funzione delle regole, di imparare i modelli di comportamento e i ruoli che ci accompagneranno nella vita adulta .
Raccontiamo loro i vecchi giochi, lasciamo che armeggino con oggetti della via quotidiana che spesso colpiscono l’attenzione dei bambini e costituiscono per loro uno stimolo motivazionale (rinforzatore) incomprensibile per gli adulti.
Lasciamoli liberi di sperimentare, di fare esperienze con i coetanei, non controlliamo costantemente il loro operato (questo non significa disinteressati ma consentire loro di apprendere in autonomia), non dobbiamo aver paura per loro, se non li lasciamo sperimentare come possono acquisire schemi comportamentali adeguati?
Come possono imparare a coniugare schemi cognitivi e schemi motori? Le nostre città sono piene di persone che non vedono gli altri, che non riescono a gestire gli spazi prossemici (le distanze) e, fisicamente, si scontrano costantemente andando a sbattere contro gli altri. A mio avviso questo tipo di comportamento è sintomo dell’assenza di spazi mentali per gli altri con la conseguente incapacità di “vedere” l’altro da se’ e con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Forse è meglio lasciarli correre, saltare, arrampicare, cadere, sbucciarsi piuttosto che costringerli ad artifizi psicomotori che simulano la realtà per acquisire la consapevolezza del proprio schema corporeo.
Non pretendiamo che si dedichino a lungo ad un’attività. Noi adulti dimentichiamo quali sono i tempi di attenzione dei bambini e, irrealisticamente, pretendiamo che abbiano capacità e durata di attenzione da adulti.
….insomma…lasciamo che si divertano e che trascorrano finalmente delle “buone vacanze”….all’inizio probabilmente saranno un po’ sconcertati ma non ho dubbi che si adatteranno presto a questo nuovo modo di vivere il mondo.